Vitamina D e immunità: cosa c’è da sapere

Il legame tra la vitamina D e l’immunità è ormai stato dimostrato

Ecco che cosa è importante sapere a proposito della vitamina D, in particolare in questo periodo di pandemia.

Una vitamina con molteplici ruoli

La vitamina D è necessaria per molti processi fisiologici ma se ne parla molto, da sempre, a riguardo del metabolismo, dell’utilizzo del calcio e della mineralizzazione ossea.
Le autorità sanitarie sono ormai consapevoli che, oggi, i livelli di vitamina D nel sangue della popolazione sono molto bassi, e che questo potrebbe in parte spiegare la fragilità ossea che sopravviene a partire da una certa età.

Se questo messaggio è arrivato forte e chiaro, si ha però l’impressione che non sia altrettanto vero per tutti gli altri ruoli che riveste la vitamina D e… ce ne sono molti.
Inoltre, la carenza di vitamina D non colpisce solo gli anziani: tutt’altro.

Se guardiamo alla salute cardiovascolare, o alla salute metabolica, o alla prevenzione del cancro, sulla base di ciò che gli studi ci dicono oggi, la D è una delle vitamine indispensabili.

Ma, per adesso, parliamo dell’argomento che oggi preoccupa la maggior parte del pianeta: la prevenzione delle infezioni invernali e il legame tra vitamina D e immunità.

Fonti alimentari di vitamina D

La vitamina D è una molecola essenziale per il nostro corretto funzionamento, e possiamo ottenerla in due modi diversi: il primo modo è attraverso il cibo.

È possibile ottenere una piccola quantità di vitamina D grazie ad alcuni alimenti: l’olio di fegato di merluzzo è quello che ne contiene la maggior quantità, con 10.000 UI per 100 g di olio.

[Per misurare la vitamina D, usiamo o microgrammi o unità internazionali (che sono chiamate UI): useremo le UI perché molto più diffuse dei microgrammi.]

Per un cucchiaio di olio di fegato di merluzzo, abbiamo 1400 UI, e ci fornisce anche 15.000 UI di vitamina A. L’olio di fegato di merluzzo è del resto molto denso di sostanze nutritive.
Tuttavia, se si assume una visione unidimensionale e affermiamo che l’olio di fegato di merluzzo è un buon modo per fare il pieno di vitamina D, si rischia di commettere errori di sovradosaggio e di entrare nella zona di tossicità della vitamina A.
E questo è un problema.

Quindi, se la carenza è importante, è sempre preferibile un integratore alimentare.

Altri alimenti che contengono vitamina D sono:

  • Salmone. La quantità dipenderà dal tipo e dal metodo di cottura. Siamo tutti d’accordo che il salmone d’allevamento è un orrore, sia per l’animale che per la qualità nutrizionale ma, nel complesso, otteniamo tra i 250 e i 1.000 UI per 100 g. Altri pesci come trote e aringhe, che ne contengono meno.
  • Tuorlo d’uovo, con circa 220 UI per 100 g.
  • Funghi: attenzione, devono essere esposti ai raggi UV per produrre vitamina D, quindi se crescono in una cantina, non ne contengono. Per 100 g di polipore in ciuffi, chiamati anche maitake, abbiamo più di 1000 UI per 100 g. Abbiamo 200 UI per 100 g di spugnole, il che è abbastanza limitato.

Abbiamo quindi fonti di cibo a disposizione ma questi apporti sono troppo limitati quando si necessita di un buon supplemento giornaliero.
È importante variare le fonti ma, in base a ciò che sappiamo, il cibo da solo non è in grado (purtroppo) di fornire il fabbisogno necessario.

Gli alimenti contengono due fonti di vitamina D inattive: l’ergocalciferolo, che proviene principalmente dalle piante (in primis i funghi) e il colecalciferolo, che proviene principalmente da pesci e prodotti animali.
Sia l’ergocalciferolo che il colecalciferolo non sono una forma attiva di vitamina D o, almeno, non ancora.

Vitamina D e luce del sole

Un’altra fonte, la più efficace, è l’esposizione al sole, grazie agli UV-B che raggiungono la pelle e trasformano un precursore del colecalciferolo in colecalciferolo.
Il sole deve essere abbastanza alto nel cielo: si dice che se scende sotto i 45° dalla verticale, la nostra pelle difficilmente potrà produrre vitamina D.
Chi ha la pelle scura, avrà bisogno di una maggiore esposizione rispetto a chi ha la pelle chiara.

Sarebbe interessante discutere del fatto che oggi non ci esponiamo al sole perché abbiamo paura del cancro alla pelle; ma basti constatare di come si viva sempre più spesso al chiuso, si tema l’esposizione al sole e ci si copra il più possibile.
Il risultato è una carenza globale di vitamina D nei paesi sviluppati.

In ogni caso, grazie al sole:

  • un precursore del colecalciferolo (che è fatto di colesterolo) sarà trasformato dalla pelle in colecalciferolo;
  • poi ci sarà una prima trasformazione nel fegato, dove il colecalciferolo si trasformerà in calcidiolo;
  • infine, una seconda trasformazione da parte dei reni in cui il calcidiolo sarà trasformato in vitamina D3 attiva, o calcitriolo, che avrà effetti benefici sull’immunità.

Vitamina D e controllo delle infezioni

In passato, inconsapevolmente, è stato usato il potere della vitamina D come, ad esempio, nel caso della tubercolosi: i pazienti venivano inviati in sanatorio e, parte del trattamento, era l’esposizione al sole (all’epoca si pensava che il sole uccidesse direttamente i batteri) e veniva somministrato anche olio di fegato di merluzzo.1

Abbiamo studi osservazionali che mostrano una correlazione tra i bassi livelli di vitamina D nel sangue e la suscettibilità alle infezioni.
Per esempio, in uno studio sono state seguite 19.000 persone dal 1988 al 1994. Le persone con il più basso livello di vitamina D, meno di 30 ng/ml hanno avuto più infezioni invernali di quelle con livelli più alti.2

La vitamina D è un attivatore dell’immunità?

Nei polmoni abbiamo cellule che rivestono l’interno degli alveoli polmonari: è attraverso queste cellule che un virus (come i coronavirus) può entrare.
Sulla superficie di questi tessuti respiratori, ci sono i macrofagi che pattugliano, grandi globuli bianchi che hanno la capacità di identificare gli agenti patogeni, di inghiottirli e distruggerli. Questo processo è chiamato fagocitosi.

Per riconoscere un intruso e fare il suo lavoro, il macrofago ha bisogno di vitamina D.

La vitamina D permette al macrofago di rilasciare alcune sostanze che perturbano il funzionamento di un virus o di un batterio; alcune sostanze faranno letteralmente un buco nella membrana del virus per distruggerlo.
Se non c’è abbastanza vitamina D in circolazione, i macrofagi non possono svolgere correttamente il loro compito.

La vitamina D:

  • permetterà ai macrofagi di secernere sostanze infiammatorie che chiameranno altri globuli bianchi, i neutrofili, in aiuto;
  • attiverà le cellule B e le cellule T (le cellule B producono anticorpi quando riconoscono l’intruso; i linfociti T distruggeranno le cellule infette).

È un’orchestrazione molto complessa, e la vitamina D è essenziale per tutti questi processi. Immaginate questi globuli bianchi che hanno un recettore della vitamina D come fosse un interruttore: la vitamina D li attiva, li accende.

A volte il sistema immunitario si lascia trasportare.
Nel caso del Covid-19, avrete sentito parlare della tempesta di citochine, che descrive un processo di circolo vizioso, nel quale i globuli bianchi producono sempre più sostanze infiammatorie al punto che un organo (come i polmoni) ne viene completamente sopraffatto, in uno stato di iperinfiammazione.

L’intero processo di coagulazione va così fuori controllo (portando alla formazione di coaguli), polmoni sono pieni di liquido e si arriva all’insufficienza respiratoria che, nel peggiore dei casi, può portare alla morte.

Tutto questo è provocato da diverse sostanze chiamate appunto citochine, messaggeri che permettono la risposta infiammatoria. Esistono diversi tipi di citochine come, ad esempio le interleuchine.

Tra le interleuchine, alcune sono altamente infiammatorie, come le interleuchine 1 e 6. Infatti, uno dei trattamenti posti in essere, è la somministrazione di inibitori dell’interleuchina 6. Le altre interleuchine sono molto meno infiammatorie.

La vitamina D stimola la produzione di interleuchine meno infiammatorie e aiuta a moderare la produzione di interleuchine altamente infiammatorie, come l’interleuchina 6.
Questo significa che la vitamina D permette una risposta infiammatoria più equilibrata e moderata.

Vitamina D e immunità: un’azione globale

La vitamina D influisce quindi su quasi tutti i processi del sistema immunitario:

  • agisce sull’immunità innata, quella che funge da scudo primario;
  • agisce sull’immunità acquisita, quella che ricorda le precedenti infezioni e produce anticorpi per risolvere il problema più velocemente;
  • agisce su tutta la cascata infiammatoria per evitare eccessi.

Che cosa fare con queste informazioni?

Diciamo che, se siete a rischio, dovreste parlarne con il vostro medico e farvi misurare il livello di vitamina D nel sangue: è un esame di routine, banale ma importante in un’ottica concreta e reale di prevenzione (e, per questo, dovrebbe essere gratuito): ricordiamo che la vitamina D agisce nella prevenzione del cancro, delle malattie cardiovascolari, delle malattie metaboliche e delle malattie neurodegenerative.
Questo controllo dovrebbe essere adattato come una misura di salute pubblica.

Il risultato del bilancio sanguigno sarà generalmente espresso in ng/ml.
Oggi, nella maggior parte dei paesi, vi verrà detto che è meglio avere un tasso superiore a 30 ng/ml ma, alcuni esperti del mondo medico affermato che questo non basta, sostenendo la necessità di livelli molto più alti.

Ad esempio, il dottor Dale Bredesen, un medico americano molto apprezzato per il suo lavoro sul morbo di Alzheimer, raccomanda livelli superiori a 50 ng/ml. E non è il solo.
Ma non è facile raggiungere questi livelli: siamo spesso su valorimolto più bassi.

Comunque, tra i 30 e i 50 ng/ml, il valore è considerato corretto; al di là non c’è consenso: la vitamina D ha una zona di tossicità nel sangue, ed è consigliato rimanere al di sotto di 80 ng/ml.

Parlatene con il vostro medico: sarebbe opportuno fare un controllo all’inizio dell’inverno per vedere la situazione e un secondo nel periodo più freddo dell’inverno, magari alla fine di gennaio, per fare un secondo punto e valutare un eventuale miglioramento/peggioramento o equilibrio.

L’integrazione di vitamina D e i dosaggi

Cosa fare se i livelli di vitamina D sono troppo bassi?
Il modo più semplice ed efficace non è modificare l’alimentazione, ma utilizzare un integratore alimentare sotto forma di gocce.

A volte il medico prescrive una megadose di vitamina D: 50.000 UI, 100.000, 200.000 UI.
Noi riteniamo sia preferibile un dosaggio che rifletta di più i nostri processi naturali, cioè la produzione graduale e non il riversamento di megadosi pensando che… “più ce n’è, meglio è”.

Quindi, attenzione: è chiaro che queste megadosi aumenteranno rapidamente i livelli di vitamina D (e questo può essere facilmente verificato) e possono essere necessarie se la carenza è importante, ma non è affatto un approccio sottile.

Per i dosaggi, il dottor Dale Bredesen dà una regola abbastanza semplice e pratica: si prende il tasso che si vuole raggiungere, vi si sottrae il tasso attuale (tutto in ng/ml) e si moltiplica per 100, per ottenere la quantità giornaliera in UI.

Per esempio, diciamo che il vostro esame del sangue mostra un livello di 18 ng/ml. Decisamente troppo basso. Supponiamo si voglia arrivare a 50 ng/ml: 50-18, che fa 32, si moltiplica per 100, che fa 3200 UI al giorno.

L’integrazione viene solitamente proseguita per diversi mesi (o fino al prossimo esame del sangue se corretto).

Se non si conoscono i livelli ematici iniziali, alcuni medici stimano che un’integrazione giornaliera che varia tra i 2000 e i 4000 UI al giorno iniziando in autunno non presenta alcun problema di tossicità.
Molti studi dimostrano non esserci alcun rischio nell’assumere fino a 10.000 UI al giorno 4 e una meta-analisi conferma questo dato.5

Per informazione, si stima che 15 minuti di esposizione al sole a luglio in costume da bagno per una persona con la pelle chiara producano da 10.000 a 20.000 UI di vitamina D e, anche se la persona viene esposta quotidianamente, non si è mai verificato un caso di avvelenamento da vitamina D indotta dal sole, con un fenomeno che produce la stessa molecola che viene assunta in forma di goccia, il colecalciferolo.

Controindicazioni

L’assunzione di vitamina D è sconsigliata in caso di ipercalcemia (eccesso di calcio nel sangue), perché peggiorerebbe il problema.

I casi di tossicità sono rari ma esistono, e possono portare a ipercalcemia, di solito se si assumono megadosi.

In generale, in presenza di una patologia o se si assumono farmaci, va sempre consultato il medico curante.

Vitamina D e immunità in epoca Covid

Concludiamo con due studi che sono stati fatti specificamente nel contesto Covid-19.

Il primo, è stato pubblicato nel settembre 20207 ed è uno studio osservazionale, non uno studio interventistico. In altre parole: si sta solo osservando lo stato delle cose senza introdurre un intervento ma permette di misurare le correlazioni (che possono poi portare a studi di che cercheranno di dimostrare un legame di causa ed effetto).
Lo studio si è svolto negli Stati Uniti e sono stati esaminati i livelli di vitamina D di 190.000 persone in tutto il paese. E, di queste 190.000 persone, il 9% è risultato positivo al Covid durante lo studio.

Lo studio mostra una forte correlazione, ripetiamo: “forte correlazione” (queste sono le parole dei ricercatori) tra bassi livelli di vitamina D e tassi di infezione più elevati.
Viceversa, le persone con livelli di vitamina D più elevati, presentano meno infezioni.
E questo è vero indipendentemente dalla latitudine (dato che gli Stati Uniti sono abbastanza grandi), dall’etnia, dal sesso o dall’età della persona.

Passiamo allo studio più interessante, che è stato pubblicato nell’ottobre 2020: si tratta di uno studio controllato e randomizzato, ovvero negli standard degli studi di intervento,3 effettuato in Spagna su 76 pazienti affetti da polmonite con Covid-19.

Questi pazienti sono stati randomizzati (cioè collocati a caso in 2 gruppi diversi): 50 pazienti hanno assunto vitamina D ogni giorno fino alla dimissione dall’ospedale, i restanti no.
Entrambi i gruppi sono stati trattati con idrossiclorochina e azitromicina.
Nel gruppo di controllo (cioè senza vitamina D), il 50% ha dovuto essere ricoverato in terapia intensiva e ci sono stati 2 decessi.
Nel gruppo della vitamina D, solo il 2% è stato ricoverato in terapia intensiva e non ci sono stati morti.

Per i dosaggi somministrati ai pazienti, il calcolo è complicato, dato che è stato somministrato direttamente il calciofediolo (che è la forma attiva prodotta dal fegato).
Si stima che questa forma sia 3,2 volte più attiva del colecalciferolo assunto per via orale.6
Facendo un rapido calcolo, i dosaggi sarebbero stati qualcosa come 68.000 UI di colecalciferolo il primo giorno, al momento dell’ammissione, e poi 34.000 UI di colecalciferolo nei giorni successivi fino alla dimissione.

Attenzione: questi dosaggi sono stati decisi da una equipe medica in un contesto specifico. A questi livelli, l’automedicazione è ovviamente caldamente sconsigliata.

La vitamina D e la vitamina K: devono essere combinate?

Negli ultimi anni si è parlato sempre più spesso della vitamina K2, perché può aiutare l’organismo a calcificare dove necessario. In parole povere: la vitamina D è necessaria affinché il calcio si depositi in alcuni tessuti (come ossa e denti) in modo che possano rinnovarsi (normale processo di calcificazione) ma, a volte, la calcificazione può avvenire altrove:

  • nelle arterie, nel qual caso si chiama aterosclerosi;
  • ui tendini, quando c’è un’infiammazione di cui l’organismo non riesce a liberarsi, nel qual caso si chiama tendinopatia calcificante.

Si parla quindi di calcificazione anomala.

Oggi pensiamo che la vitamina K permetta di evitare questo tipo di depositi anomali: è sempre più consigliato associare la vitamina D alla K.

Ma, la domanda che viene posta più frequentemente è: la vitamina D, aumenta il rischio di aterosclerosi?
La scienza ha dimostrato che l’integrazione di vitamina D aumenta il rischio di calcificazioni, ad esempio nelle arterie?
Che si sappia, no. In realtà, è vero il contrario.
Negli studi osservazionali, vediamo che c’è piuttosto una correlazione inversa: più aumenta la vitamina D nel sangue (nell’ambito di normali valori fisiologici) e più il rischio diminuisce.

Per esempio, abbiamo uno studio fatto su persone ad alto rischio di sviluppare una malattia coronarica, e vediamo che alcuni marcatori che regolano la calcificazione come l’osteocalcina, l’ormone paratiroideo e la calcificazione vascolare sono meno presenti.8

Quindi, anche nelle persone che sembrano essere a rischio di calcificazione cardiovascolare, la vitamina D (a valori normali) pare essere benefica.

Un altro studio ci ricorda come la vitamina D sia anche una lama a doppio taglio: se è troppo alta, può portare a una calcificazione problematica; ma anche quando è troppo bassa può portare a una calcificazione problematica…
Quando è normale, non causa alcun tipo di problema perché regola l’infiammazione vascolare.9
D’altra parte quando si assume un integratore alimentare di calcio insieme a vitamina D, il rischio di calcificazione arteriosa sembra aumentare, e si pensa che questo sia dovuto più all’assunzione di calcio che alla vitamina D (l’integrazione di calcio negli anziani per i disturbi della mineralizzazione ossea è oggi messa in discussione: meglio concentrarsi sulle fonti dietetiche).

Cosa ci dicono gli studi sulla vitamina K?

Nel complesso, l’assunzione di vitamina K negli alimenti o come integratore alimentare sembra diminuire il rischio di calcificazione arteriosa,11 attivando la calcificazione nei punti giusti e bloccando la calcificazione nei punti sbagliati.

Non abbiamo molti studi (certamente non tanti come per la vitamina D) ma, in questa fase, non sembra esserci alcuna opposizione al fatto che abbia un impatto positivo sulla calcificazione, e non risulta alcuna tossicità nota o effetti avversi.11

Alcuni studi mostrano una potenziale carenza nel 97% della popolazione anziana12 di vitamina K: sembra quindi essere una buona compagna per la vitamina D.

Riteniamo che, se esiste un rischio di calcificazione arteriosa (per una persona che fuma, una persona a rischio cardiovascolare familiare, una persona a cui è già stata diagnosticata l’aterosclerosi) o se la persona è anziana e potrebbe essere carente, l’associazione delle due vitamine sia ottimale.

La controindicazione principale per la vitamina K è l’assunzione di anticoagulanti anti-vitamina K di tipo K. E, in caso di dubbio, chiedere sempre consiglio al medico, soprattutto se sottoposti e cure farmacologiche.

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Conclusione vitamina D e immunità

Tra quello che sappiamo su come funziona sul sistema immunitario e i recenti studi appena usciti nel contesto del Covid-19, si dovrebbe parlare molto di più di vitamina D.

Riteniamo che sia uno strumento di prevenzione essenziale e ci auguriamo che i medici di medicina generalisti seguiranno i loro pazienti a rischio, per assicurarsi che i loro livelli ematici siano corretti.

È questa, la vera prevenzione.


Referenze

  1. Williams C. On the use and administration of cod-liver oil in pulmonary consumption. London Journal of Medicine. 1849;1:1–18.
  2. Ginde AA, Mansbach JM, Camargo CA Jr. Association between serum 25-hydroxyvitamin D level and upper respiratory tract infection in the Third National Health and Nutrition Examination Survey. Arch Intern Med. 2009 Feb 23;169(4):384-90.
  3. Entrenas Castillo M, Entrenas Costa LM, Vaquero Barrios JM, et al. “Effect of calcifediol treatment and best available therapy versus best available therapy on intensive care unit admission and mortality among patients hospitalized for COVID-19: A pilot randomized clinical study”. J Steroid Biochem Mol Biol. 2020;203:105751.
  4. Heaney RP. Vitamin D in health and disease. Clin J Am Soc Nephrol. 2008;3(5):1535-1541.
  5. Hathcock JN, Shao A, Vieth R, Heaney R. Risk assessment for vitamin D. Am J Clin Nutr. 2007 Jan;85(1):6-18. doi: 10.1093/ajcn/85.1.6.
  6. Quesada-Gomez JM, Bouillon R. Is calcifediol better than cholecalciferol for vitamin D supplementation? Osteoporosis International : a Journal Established as Result of Cooperation Between the European Foundation for Osteoporosis and the National Osteoporosis Foundation of the USA. 2018 Aug;29(8):1697-1711.
  7. Kaufman HW, Niles JK, Kroll MH, Bi C, Holick MF (2020) SARS-CoV-2 positivity rates associated with circulating 25-hydroxyvitamin D levels. PLoS ONE 15(9): e0239252.
  8. Watson KE, Abrolat ML, Malone LL, Hoeg JM, Doherty T, Detrano R, Demer LL. Active serum vitamin D levels are inversely correlated with coronary calcification. Circulation. 1997 Sep 16;96(6):1755-60.
  9. Wang J, Zhou JJ, Robertson GR, Lee VW. Vitamin D in Vascular Calcification: A Double-Edged Sword?. Nutrients. 2018;10(5):652. Published 2018 May 22.
  10. Bolland MJ, Grey A, Avenell A, Gamble GD, Reid IR. Calcium supplements with or without vitamin D and risk of cardiovascular events: reanalysis of the Women’s Health Initiative limited access dataset and meta-analysis. BMJ. 2011 Apr 19;342:d2040.
  11. Maresz K. Proper Calcium Use: Vitamin K2 as a Promoter of Bone and Cardiovascular Health. Integr Med (Encinitas). 2015;14(1):34-39.
  12. Bruno, E. “The Prevalence of Vitamin K Deficiency / Insufficiency , and Recommendations for Increased Intake.” (2016).

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