Prostata: l’influenza del metabolismo e del microbiota

Invecchiando, difficile sfuggire all’iperplasia della prostata…

L’iperplasia della prostata è un fenomeno per il quale, secondo le ultime ricerche, si pensa che l’infiammazione cronica giochi un ruolo importante.
Ma l’infiammazione non è inevitabile, e potrebbe essere ridotta agendo sul metabolismo e sul microbiota.

L’ipertrofia prostatica è un disturbo comune negli uomini che si avvicinano e superano i sessant’anni. Si manifesta come un aumento omogeneo del volume complessivo della prostata, noto come iperplasia prostatica benigna (BPH o IPB), quando il peso della ghiandola supera i 20 grammi.

Un problema di testosterone, ma non solo

Il coinvolgimento del testosterone nell’IPB è stata a lungo l’unica pista seguita nello studio delle problematiche legate alla prostata e sembrerebbe essere valida, anche se il legame diretto non è mai stato chiaramente stabilito.

Infatti, sebbene i livelli di testosterone diminuiscano negli uomini a partire dai 30 anni di età, la prostata ha una sua propria peculiarità: i suoi recettori per gli androgeni (gli ormoni che controllano le caratteristiche maschili) mantengono un’espressione genetica costante con l’età, nonostante il trascorrere del tempo, a differenza di altri tessuti (quelli nel pene, ad esempio) in cui l’espressione dei recettori diminuisce con l’invecchiamento.

Tuttavia, l’espressione di questi recettori sembra aumentare nei casi di iperplasia prostatica rispetto al tessuto sano e, questo, potrebbe spiegare la crescita anomala, probabilmente correlata a una riduzione dell’apoptosi (morte cellulare). Ma sembra che siano in gioco anche altre cause, come alcuni fattori di crescita o cambiamenti nella vascolarizzazione del tessuto prostatico.

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La pista dell’infiammazione sarà la risposta i problemi di prostata?

Recentemente la ricerca quindi ha rivolto la propria attenzione al fenomeno infiammatorio. Le ricerche condotte nell’ultimo decennio hanno dimostrato che l’infiammazione, sia essa il risultato di un’infezione, di disturbi metabolici o di un ecosistema intestinale danneggiato, è una delle condizioni che favoriscono l’ingrossamento della prostata.

Un’équipe dell’Università di Medicina della Pomerania (Polonia)1 ha cercato di capire quali siano i criteri che, promuovendo l’infiammazione, si possano associare specificatamente all’iperplasia prostatica e hanno identificato due famiglie di attori che sarebbero legati alla sovraespressione di interleuchine pro-infiammatorie nel tessuto prostatico: il colesterolo e i trigliceridi da un lato e gli acidi grassi a catena corta dall’altro.

Sindrome metabolica, un fattore aggravante

In un gruppo di 103 uomini affetti da IPB, lo studio ha rilevato che in quelli che presentavano anche la sindrome metabolica, la concentrazione delle interleuchine pro-infiammatorie IL-6 e IL-18 nel tessuto prostatico era più elevata rispetto agli uomini affetti da IPB senza sindrome metabolica.

Si ritiene che questo fenomeno infiammatorio sia favorito da:

  • uno squilibrio nel rapporto colesterolo HDL/trigliceridi, caratteristico della sindrome metabolica;
  • da una diminuzione dei livelli di acidi grassi a catena corta (che normalmente aiutano a prevenire l’infiammazione)
  • associati a un microbiota intestinale disturbato, anch’esso in gran parte attribuibile alla sindrome metabolica.

Come sempre, la dieta può fare la differenza

Se c’è un modo in cui ognuno di noi può agire per controllare sia il proprio metabolismo sia il proprio microbiota, è ovviamente l’alimentazione. Seguendo il modello mediterraneo, che è il più documentato, è possibile ridurre l’insulino-resistenza e riequilibrare i lipidi nel sangue (ridurre i trigliceridi e il colesterolo LDL, aumentare il colesterolo HDL), e quindi proteggere dal sovrappeso e dal diabete.

Alcuni studi2-3 suggeriscono che più queste due patologie sono marcate, maggiore è il rischio di sviluppare l’IPB.

Per tenere sotto controllo l’IPB, sembrerebbe giustificato includere alcuni alimenti con proprietà antiossidanti e antinfiammatorie a partire dai 40 anni, come:

  • i frutti rossi (fragole, mirtilli, lamponi, more, tutte ottime fonti di antiossidanti),
  • omega-3 (anche direttamente sotto forma di acidi grassi a catena corta),
  • pomodori (per il licopene),
  • broccoli (per il sulforafano),
  • noci e semi di zucca,
  • tè verde,
  • melograno
  • e curcuma.

Allo stesso tempo, è importante ridurre la carne rossa e i latticini (che favoriscono la crescita incontrollata delle cellule, soprattutto se provengono da allevamenti intensivi), nonché il sale.

Cancro alla prostata: l’importanza della vitamina D e dell’alimentazione

Due recenti studi confermano il ruolo della vitamina D e della dieta nel rischio di sviluppare il cancro alla prostata, in particolare il tipo aggressivo, evidenziando come gli uomini di origine africana che vivono in Europa e in Nord America siano particolarmente a rischio.

Come ormai è noto, la scarsa esposizione alla luce solare sembra aumentare significativamente il rischio di sviluppare il cancro alla prostata, e la malattia è tanto più diffusa quanto più ci si allontana dall’equatore.

I ricercatori del rinomato centro medico no-profit Cedars-Sinai di Los Angeles hanno esaminato più da vicino questa teoria, osservando le differenze nel modo in cui l’organismo degli uomini americani di origine europea e degli uomini americani di origine afroamericana gestisce la vitamina D.

Le origini africane favoriscono la carenza di vitamina D

Gli uomini afroamericani dalla pelle scura hanno maggiori probabilità di sviluppare il cancro alla prostata rispetto agli uomini europei e hanno il doppio delle probabilità di morire per questa malattia. Inoltre, si ammalano di cancro alla prostata in modo più aggressivo e in età più giovane rispetto agli uomini dalla pelle più chiara. Studi su larga scala hanno dimostrato che le differenze nell’accesso all’assistenza sanitaria non spiegano interamente questa disparità, il che indica differenze biologiche che devono essere meglio comprese.

“Gli antenati degli uomini afroamericani ed europeo-americani si sono adattati ai climi di provenienza e gli uomini di origine africana conservano livelli più elevati di melanina nella pelle per proteggersi dalla forte luce solare”, spiega Moray Campbell, autore principale dello studio e biologo specializzato in tumori ormono-dipendenti. Infatti “Poiché la melanina funge da schermo solare naturale, le persone con la pelle scura devono esporsi al sole da tre a cinque volte più a lungo di quelle con la pelle chiara per sintetizzare la stessa quantità di vitamina D. Per questo motivo, i loro discendenti che vivono negli Stati Uniti e ricevono meno ore di sole all’anno rispetto a quelli dei paesi africani sono spesso carenti di vitamina D””.

Secondo Moray Campbell, la vitamina D stimola la maturazione delle cellule (aiuta le cellule più vecchie del nostro corpo a “morire” e quelle più giovani a svilupparsi) e senza un livello sufficiente di vitamina D che le aiuti a maturare, le cellule tumorali si moltiplicano in modo ancora più incontrollato e rapido. Per i ricercatori, questi dati significano che in futuro si potrebbero formulare raccomandazioni nutrizionali agli uomini di origine africana o con la pelle scura, incoraggiandoli a tenere particolarmente sotto controllo i loro livelli di vitamina D.

Nel frattempo, il team intende esaminare anche il possibile ruolo della vitamina D nello spiegare le disparità in altri tumori ormono-dipendenti, come il cancro al seno.

Una dieta poco sana aumenta il rischio di un tumore aggressivo

Un altro studio, questa volta pubblicato sul British Journal of Urology International, ha rivelato che mentre una dieta sana non sembra ridurre il rischio di cancro alla prostata in generale, una dieta non sana può aumentare il rischio di sviluppare un tumore alla prostata aggressivo.

Valutando le diete di 15.296 uomini spagnoli seguiti per un periodo di diciassette anni, i ricercatori hanno classificato le abitudini alimentari dei partecipanti in tre categorie:

  • dieta occidentale: elevato consumo di latticini ad alto contenuto di grassi, carne lavorata, cereali raffinati, dolci, bevande caloriche, piatti pronti e salse, e un basso consumo di latticini a basso contenuto di grassi e cereali integrali;
  • dieta prudente: elevato consumo di verdura, frutta, cereali integrali, succhi di frutta, latticini a basso contenuto di grassi;
  • dieta mediterranea: elevato consumo di pesce, verdure, legumi, patate bollite, frutta, olive, olio vegetale e basso consumo di succhi di frutta.

Gli uomini che seguivano le diete prudenti e mediterranee non avevano un rischio inferiore alla media di sviluppare il cancro alla prostata ma, al contrario, è stato osservato un effetto dannoso con la dieta occidentale, che sembrava favorire i tumori aggressivi.

Secondo i ricercatori (e senza grandi sorprese per quanto ci riguarda) evitare abitudini alimentari malsane potrebbe essere la migliore strategia nutrizionale per prevenire il cancro alla prostata aggressivo.

Note & Referenze

  1. Tissue immunoexpression of IL-6 and IL-18 in aging men with PBH and MetS and their relationship with lipid parameters and gut microbiota-derived short chain fatty acids, Aging, octobre 2023
  2. Metabolic Factors Associated with Benign Prostatic Hyperplasia, Journal of clinical endocrinology and metabolism , juillet 2006
  3. Insulin-resistance and benign prostatic hyperplasia: the connection, European journal of pharmacology, septembre 2010
  4. African American Prostate Cancer Displays Quantitatively Distinct Vitamin D Receptor Cistrome-transcriptome Relationships Regulated by BAZ1A, Cancer Research Communications, avril 2023.
  5. High adherence to Western dietary pattern and prostate cancer risk: findings from the EPIC-Spain cohort, BJU International, avril 2023.
  6. Récepteur de la vitamine D : première observation 3D en intégralité, INSERM, janvier 2012.

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