Il Carrubo

Ceratonia siliqua L

Famiglia delle Fabaceae
Parti utilizzate: la polpa del frutto ed i semi

Il carrubo è un albero sempreverde, prevalentemente dioico (esistono cioè piante con soli fiori maschili e alberi con fiori solo femminili) ramificato a chioma espansa e alto fino a 10 metri (alle nostre latitudine, ma può raggiungere i 20).
Il fusto è vigoroso, con corteccia grigio-marrone, poco fessurata.
Le foglie sono composte, paripennate, con 2-5 paia di foglioline robuste, coriacee, ellittiche-obovate di colore verde scuro lucente sulla parte superiore, più chiare in quella inferiore, con margini interi.
I fiori sono molto piccoli, verdastri, a corolla papilionacea; si formano su corti racemi lineari all’ascella delle foglie e non superano i 3 mm. Sono verdi o rossastri e sbocciano tra agosto e ottobre.
I frutti, chiamati carrube o vajane, sono dei grandi baccelli detti “lomenti”, lunghi 10–20 cm, viola nerastri a maturazione: la superficie esterna è molto dura e la polpa carnosa, pastosa e zuccherina. Contengono semi scuri, tondeggiati e appiattiti, duri e omogenei in peso detti “carati”, perchè venivano utilizzati in passato come misura dell’oro.

I piccoli semi (da 12 a 16 per carruba) di cui gli orafi si servivano per pesare oro e pietre preziose hanno infatti una particolare costanza nella loro massa: un carato equivale a 200 mg, da cui il loro antico uso come unità di misura.


È pianta spontanea nel bacino del Mediterraneo, nel Portogallo e in Marocco sui versanti atlantici.
Lo troviamo nelle zone aride vicino alle coste, nella macchia e spesso è coltivato.
In Italia è spontaneo a sud e naturalizzato in Toscana e a nord (raro): in Puglia una legge regionale (Art. 18 L. R. 04/06/2007) lo fa rientrare nelle specie protette.
I suoi frutti sono utilizzati soprattutto come foraggio per il bestiame e parte dei succedanei del cioccolato sono ottenuti da pasta o semi di carrube.
Esistono diversi tipo di carrubo, a piccoli o grossi lomenti, dalla polpa dolce o astringente.
Nella tradizione popolare gli arabi usano molto le carrube come medicazioni: infatti il nome, che viene dal latino medioevale “carubia”, deriva dall’arabo “karruba” che ne designa il frutto.
San Giovanni Battista si sarebbe nutrito di carrube nel deserto, infatti viene chiamato anche “pane di San Giovanni”.
Le carrube sono servite in medicina popolare come lassativo e per gli arabi era un rimedio adatto a chi soffriva di ripetute infezioni ai bronchi. Se le carrube fresche sono lassative, secche sono invece anti-diarroiche (0,30-0,50 grammi al giorno).
In Egitto si estraeva dai frutti del carrubo una sorta di sciroppo: il sliquae dulces usato contro la tosse e le diarre.
Nella penisola iberica le carrube sono usate come antidolorifico per il mal di denti e come antissutivo, in un originale sciroppo che associa la Lavatera maritima, la Xanthoria parietina, fichi essiccati, gusci di mandorle e fiori di olivo.


Costituenti principali

I frutti, ricchi di glucidi (80%) hanno un buon tenore di calcio (352 mg/100 g) ma anche di fosforo, ferro, sodio, potassio, magnesio; oltre a un’elevato tenore in vitamina B1 (0,5 mg/100 g) e vitamina PP (1,9 mg / 100 g).
Se la farina di semi di carrubo contiene tra il 90 e il 95% di d-galacto-d-mannan (carrubina) la polpa del frutto è costituita per il 40-50% da zuccheri solubili (zuccheri ad assorbimento rapido), pinitolo e tannini condensati.


Uso

Farina di carrubo

In farmacia viene proposta nel trattamento sintomatico delle diarree dei neonati e dei bambini.

Gomma carruba

In farmacia viene proposta per trattare il reflusso gastroesaofageo (rigurgiti e vomito) del neonato e del bimbo piccolo. In opercoli, viene usata per un effetto “taglia-fame”: ad esempio 350 mg di gomma a opercolo, 1 opercolo prima di ogni pasto con un bicchier d’acqua.


Oggi, alla luce della scienza

Vanno distinte la “gomma” (o “farina del seme” di carruba), la gomma carruba, un idrocolloide ricavato dalla decorticazione e macinazione dei semi del carrubo dalla “farina“, che è la polpa del succo disidratata.
La farina è un anti-diarroico, invece la gomma (che non è digeribile e priva di principi nutritivi) serve come sostitutivo in dietetica per persone sovrappeso: consente infatti di arricchire quantitativamente le razioni senza modificarne l’apporto calorico, riducendo così la sensazione di fame.
Tutti noi consumiamo regolarmente la gomma carruba, dato che corrisponde all’E410, eccepiente utilizzato in alcuni medicinali e soprattutto nell’industria agroalimentare in prodotti a base di latte come le creme e i gelati.
Questa gomma è stata proposta anche per trattare l’insufficienza renale cronica:1 riesce a captare, nel liquido intestinale dei malati, urea, creatina, acido urico, ammoniaca e fosfati, causando così una riduzione importante dell’uremia.
La gomma carruba ha la stessa costituzione chimica di quella di guar (d-galacto-d-mannan) per la quale è stata dimostrata un’influenza sul metabolismo dei glucidi, diminuzione della glicemia e dell’insulinemia,2 oltre a un’influenza sul metabolismo dei lipidi, diminuzione delle colesterolemia.3 Un’importante integrazione di gomma carruba in un’etnia istraeliana ha ridotto significativamente la risposta al glucosio e l’indice glicemico di soggetti diabetici non insulino-dipendenti.4 In un’importante ricerca etnobotanica sulle piante medicinali in Israele, si è scoperto che sedici specie erano utilizzate per i trattamenti ipoglicemizzanti.5 Tra queste piante, sono citate il carrubo, l’enula bacicci (Inula viscosa), l’origano di Siria (Origanum syriaca), il Camedrio (Teucrium polium), la salvia triloba (Salvia fruticosa) e altre.
L’estratto di carruba ha anche un leggerto effetto antimicrobico contro i batteri dei prodotti alimentari, in particolare lo Staphylococcus aureus S6, lo Staphylococcus aureus 772 e il Pseudomonas fragi.6 È stata provata anche un’attività inibitrice di medio livello sui Listeria monocytogenes, Salmonella enteritidis e Brochothrix thermosphacta.
Si nota infine un’attività antiossidante dei polifenoli estratti dai baccelli di carrubo, e la possibilità di produrre bioetanolo dalla fermentazione su substrato solido dalle carrube.8


Bibliografia

  1. Yatzidis H., 1980
  2. Jenkins D.J.A. e coll., 1977
  3. Feldman N. e coll., 1995
  4. Yaniv Z, Dafni A., Friedman J. & Palevitch D., 1987
  5. Tassou C.C., Drosinos E.H. & Nychas-G-J.E., 1997
  6. Kumazawa S. e coll., 2002
  7. Roukas T., 1994

 

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