Arnica: il grande malinteso

« Ti sei fatto la bua? presto, dell’arnica! »
Ecco un riflesso molto comune, anche per chi non ricorre solitamente ai rimedi naturali, ma basato su un equivoco..
L’arnica non è affatto un rimedio ordinario ma dovrebbe essere riservata ai grandi shock.

La pianta dei montanari

L’Arnica montana è un’erba perenne appartenente alla famiglia delle Asteraceae, indigena dell’Europa centrale. Predilige i climi freschi e soleggiati e cresce ad un’altitudine compresa fra i 600 e i 2800 metri sul livello del mare. Fiorisce tra giugno e luglio a seconda della zona, i suoi fiori sono di un bel colore giallo-aranciato e i suoi frutti sono bruni e irsuti. In Italia la si trova nei prati e sui pascoli delle Alpi e dell’Appennino settentrionale e, diventando sempre più rara, appartiene ormai alla flora protetta.

Dal gradevolissimo odore aromatico, l’arnica montana emana un caratteristico profumo che gli fa attribuire comunemente il nome di “starnutina”, proprio per la sua capacità di provocare starnuti. Capacità quest’ultima che sembra, secondo alcuni, aver dato il nome alla pianta. Il nome del genere Arnica infatti potrebbe derivare da una alterazione del tardo-latino “ptàrmica”, a sua volta derivato dal greco “ptàrmikos” (starnutatorio).

Completamente ignorata nell’antichità, l’arnica montana è stata a lungo conosciuta solo dai montanari: in Svizzera, Germania o in Francia, era il rimedio d’emergenza che, se ben usato, poteva salvare una vita. Si ricorreva infatti all’arnica per incidenti importanti, per gravi traumi fisici o emotivi: una caduta, ferite causate da frane, spiacevoli incontri con animali selvatici, una distorsione o una frattura che impedivano di tornare a casa. L’arnica aiutava a rimettersi in piedi anche in caso di stanchezza cronica: l’arnica era la cura per i traumi e un fortificante senza uguali.

E per secoli l’arnica è rimasta tra le sue montagne.

Curiosità

In Francia era chiamata “Tabac des Vosges”, perché gli abitanti di quelle regioni se ne servono come tabacco da fiuto. Da noi i Cimbri la chiamavano “tabacco di montagna”, dal cimbro “smoitztabac”: l’arnica infatti, in quanto più gradevole, veniva adoperata al posto del tabacco da pipa ed evitava anche la formazione di catarro. Era una pianta molto cara al popolo Cimbro, al punto da essere annoverata fra le piante dotate di un fluido misterioso: era consuetudine raccoglierla in ore e giorni determinati, precisi momenti in cui essa sprigionava tutta la sua magia, facendo addirittura innamorare pazzamente chi la toccasse.

Fu trattata per la prima volta da Hildegard von Bingen (1098-1179) per il trattamento di contusioni ed ecchimosi nel “De arboris”, ma trovò piena citazione nei testi medici solo a partire XVI secolo ad opera del medico e naturalista tedesco Theodorus Jacobus Von Bergzabern (1520–1590 ), che la descrisse e attribuì alla pianta il nome attuale.

Una seducente pianta tossica

Quando gli erboristi nelle pianure scoprirono le virtù dell’arnica la accolsero subito come una pianta davvero molto promettente ma al tempo stesso tossica: l’ingestione di pochi fiori di arnica può infatti provocare allucinazioni, gravi disturbi digestivi e persino la morte per arresto cardiaco. Ma l’omeopatia era in pieno fermento, e questa tossicità interessò i suoi partigiani: in omeopatia infatti il veleno diluito diventa una virtù. L’arnica fu quindi ben presto utilizzata in tintura madre come materia prima omeopatica, utilizzata in diluzioni. Apparvero così tutta una gamma di preparati sotto forma di pomate, unguenti o gocce per applicazioni locali, indicati naturalmente per i traumi e le ferite.

Gli studi scientifici hanno poi confermato le virtù antinfiammatorie, antalgiche, decontratturanti, anti-ecchimosi  e cicatrizzanti dell’arnica, utilizzata come rimedio per la cura a lungo termine di dolori e traumi muscolo-scheletrici quali contusioni, dolori articolari, edema con fratture, iperestensioni, artriti, borsiti, mialgie ed ematomi.
E oggi tutti conoscono questi piccoli granuli zuccherini che si danno ai bambini, anche per i minimo incidenti: ma è ragionevole?

L’arnica: quando e come

Se, dopo aver inciampato, il vostro bambino si calma succhiando i suoi granuli, si dica grazie all’effetto placebo. Perchè l’arnica non è una cura per le piccole “bue”, così frequenti nei bambini. Non è utile neppure per un po’ di stanchezza, salvo alcune eccezioni.

Qual’è il rischio di un uso improprio dell’arnica? Nessuno, solo che il rimedio perderà d’efficacia nel momento in cui il bisogno sarà reale.
L’arnica è una pianta eccezionale da riservare alle situazioni eccezionali: un incidente d’auto, uno strappo muscolare, una distorsione, una ferita profonda, una caduta importante, un’operazione chirurgica, e l’omeopatia è la forma prediletta per l’uso interno, in quanto si evita qualsiasi rischio di tossicità.
Abbiate sempre una dose in diluzione 30CH in caso di emergenza, da somministrare il prima possibile. E anche le diluzioni da D1 a D4 sono efficaci, soprattutto per i traumi fisici.
In uso esterno si usa la tintura madre, l’estratto fluido o il macerato oleoso di fiori, applicandone poche gocce su una garza o grazie a preparazioni già pronte.

L’arnica è una pianta eroica: sappiatela usare come merita.

Nota per l’acquisto di prodotti a base d’Arnica
Visto che si tratta di una specie protetta, la reperibilità dell’arnica montana non è così “immediata”: quando vi accingete ad acquistare prodotti a base di arnica ponete attenzione agli ingredienti del preparato, e ricordate che quella dagli effetti benefici è solo la montana.

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