La lotta al cancro passa dal Prunus dell’Appennino: il Trigno

La Biogroup Srl mette in vendita i suoi nuovi integratori alimentari, TRIGNO® M, TRIGNO® D e TRIGNO® T: noi vogliamo oggi condividere integralmente questo articolo pubblicato su SETTE, magazine del Corriere della Sera, il 30 Ottobre 2015 a firma Marzio G. Milan.

Un giusto omaggio a questa piccola grande eccellenza italiana nell’ambito della fitoterapia e della ricerca.

L’oro del Molise è la pianta della speranza

Dal trigno, le ricercatrici hanno prodotto un integratore che inibisce la crescita delle cellule cancerose in vitro. La nuova sfìda ora sarà creare il farmaco antitumorale.

Non è un caso che Stefania Meschini, ricercatrice dell’stituto Superiore di Sanità, legga con attenzione la storia di Tu Youyou, la ricercatrice cinese che ha appena vinto il Nobel per la Medicina con la scoperta del farmaco antimalarico oggi più usato al mondo, l’artemisinina (quinghaosu in cinese) tratto dall’antico qinghao, la pianta dell’artemisia annua che si trova nel Sud del Paese. Una storia che parte da lontano, come Tu ha raccontato nel 2007 ad Adriana Bazzi del Corriere della Sera, che l’aveva intervistata con lungimiranza: «Conoscevo molti rimedi dell’antica farmacopea cinese compreso il qinghao, citato in alcuni scritti già nel 168 avanti Cristo, poi menzionato in un libro dell’alchimista Ge Hong nel 350 dopo Cristo e adottato nel 1956 da un famoso naturopata di nome Li Shizhen come antidoto contro febbre e brividi. Ma la vera scoperta fu il sistema di preparazione».

La ricetta diceva che bisognava fare un infuso con una manciata di qinghao in due litri d’acqua, spremere il succo e bere. «Ecco, il trucco sta nello spremere, altrimenti non si ricava la sostanza capace di uccidere il Plasmodio della malaria». Da qui a isolare il principio attivo dalle foglie dove è più concentrato e quindi produrre un farmaco in grado di salvare milioni di vite ci sono voluti anni, un’intera isola cinese messa a disposizione per gli esperimenti su tremila pazienti, tenacia contro la diffidenza occidentale verso la medicina naturale e infine una multinazionale farmaceutica che ha investito un sacco di soldi, spianando la via al Nobel.

«L’artemisia è una pianta dall’elevata complessità strutturale, esattamente come il nostro Prunus spinosa trigno che cresce in Molise», dice la ricercatrice, «Spero che mi si dia la possibilità di continuare nella ricerca per poter superare l’integratore Trigno M e arrivare al farmaco».
Chissà… Un passo alla volta.

Intanto il 26 novembre sarà presentato alla Camera dei Deputati il Trigno M, l’integratore prodotto dalla Ditta Biogroup srl, appena messo in commercio nelle farmacie italiane con effetto antiossidante e con la dimostrata capacità di inibire la proliferazione delle cellule tumorali in vitro.

Questo integratore può essere utilizzato come coadiuvante naturale della radio e della chemioterapia.
«Nella sperimentazione in laboratorio», spiega la ricercatrice, «abbiamo trattato cellule cancerose umane di cancro del colon, del polmone e della cervìce uterina con l’estratto del prunus addizionato al Can (un complesso a base di aminoacidi, minerali e vitamine). Il risultato è stato la inibizione della crescita cellulare tra il 70 e 1’80 percento delle cellule cancerose nell’arco di 24 ore».
Ora si attendono le relazioni degli oncologi clinici che applicando la terapia biointegrata utilizzeranno l’integratore Trigno M in combinazione con i chemioterapici sui loro pazienti.

La regione che non esiste

Bagnoli del TrignoUna storia che comincia nei boschi dell’Alto Molise. Siamo a Bagnoli del Trigno, circa 700 anime – ci sono più bagnolesi a Roma, oltre un migliaio, quasi tutti tassisti. Sulla cresta dell’Appennino sannita si vedono in lontananza Pietra Abbondante, Capracotta, Agnone, tutt’intorno un paesaggio sospeso in un tempo indefinito, una delle aree più ìncontaminate d’Italia. Bagnoli l’avevano costruita su un contrafforte roccioso per fare fronte comune contro barbari e briganti, ma con i secoli s’è spaccata in due, terra di vasc’ e terra di coppa; praticamente è quasi impossibile passare il confine, sono micromondi che si girano la schiena, l’ultimo matrimonio “misto”, dicono al bar, risale ai primi del Novecento. Ciò che ha ancora il potere di unirli è una bacca blu cobalto, il trigno, appunto, che dà il nome al fiume e alla valle e produce un succo dal quale si ricava un umile amaro, il trignolino, orgoglio sia di quelli di sopra che di quelli di sotto.

Ma ora quell’arbusto spinoso della famiglia dei pruni che imbianca i poggi nella stagione della fioritura è improvvisamente diventato protagonista nel mondo della ricerca antitumorale e simbolo per una regione appartata, anzi ignorata, che sta cercando il riscatto puntando proprio sulla sua biodiversità, sull’unicità che deriva dall’essere rimasta fuori da mode, consumi ed economie mordi e fuggi. Una consapevolezza che s’intuisce dallo slogan diventato virale in Molise, “benvenuti nella regione che non esiste”.

«Paradossalmente la bolla dell’esclusione ci ha preservati anche dai pesticidi, e ora ci troviamo un immenso patrimonio di piante selvatiche, una terra ancora integra, una biodiversità che non ha eguali in tutta Europa», dice Giovanni Occhionero, 40 anni, chimico farmaceutico responsabile della Biogroup, la piccola azienda che a Bagnoli del Trigno ha proprio investito su terpene, oli essenziali, piante officinali, riferimento non solo italiano per la medicina biointegrata e la medicina sportiva. E da qualche mese con il brevetto del Trigno M, ottenuto grazie ad anni di lavoro al fianco della Dottoressa Meschini dell’istituto Superiore di Sanità, ha incassato titoli sui grandi media nazionali. «Cinquanta dipendenti, per lo più giovani, sono una cosa enorme da queste parti», dice l’agronomo Franco Rossi, che viene dal mondo dei fertilizzanti e ora si occupa della filiera di produzione. Ma anche l’indotto sta crescendo del 40% l’anno, sono coltivatori di lavanda, timo, cardo, rosmarino, carciofo, tarassaco e ovviamente prunus selvatico, che arrivano con i carri all’essiccatoio della Biogroup come fosse il frantoio della valle.

Una scoperta che ha scatenato fin troppe aspettative da parte di malati di cancro.
«Siamo stati sommersi di richieste, non solo dall’Italia. Purtroppo la disperazione alimenta speranze», dice Stefania Meschini. «Noi ripetiamo che siamo solo all’inizio, questo integratore, che coadiuva l’azione della chemioterapia, può aiutare a stare meglio. il prunus da solo non è efficace. Lo è grazie al mix che abbiamo brevettato, che è tossico per le cellule tumorali. Questa pianta ha formidabili effetti antiossidanti per l’alta percentuale di fenoli acidi. Nei test in vitro abbiamo dimostrato che il Trigno M è in grado di uccidere il 70-80% delle cellule tumorali utilizzate e di inibirne la proliferazione». La scienziata non nasconde l’orgoglio per la scoperta vissuta «come una rivalsa in un momento di difficoltà per il Paese e per la ricerca italiana. Una storia», dice, «che dimostra come anche in una piccola azienda in una delle province più isolate d’ltalia sia possibile lavorare con serietà e all’avanguardia».

Ora la sfida scientifica è quella di ottenere il farmaco antitumorale.

«Lavoreremo per trovare la molecola del fitocomplesso e la molecola dell’attivatore che insieme determinano quest’effetto. Se ci riusciremo avvieremo i test in vivo. Ma ci vogliono anni, fondi, permessi. Ci vuole personale retribuito, in questa ricerca stanno lavorando due precarie biologhe bravissime, Maria Condello e la tesista Evelin Pellegrini, che hanno lavorato duramente in questi anni ma vorrei riuscire a pagarle e poter così garantire la continuità della ricerca, tanto faticosamente iniziata».

Torna quindi in mente la storia di Tu, la signora dell’artemisia che ha appena ottenuto il Nobel.
Quando il suo lavoro comparve per la prima volta in lingua inglese sul Chinese Medical Joumal nel 1979, il professor Nicholas Whìte direttore del Wellcome’s South East Asia Research Unit disse: «Leggo la descrizione di un nuovo composto contro la malaria e dei test in vivo, nei roditori e nell’uomo, su sottili fogli di carta gialla in un inglese approssimativo. Il tutto è contenuto in cinque pagine quando una compagnia farmaceutica occidentale avrebbe speso 300 milioni di dollari e pubblicato un documento alto come un mattone». Anche l’Organizzazione mondiale della Sanità aveva guardato a questa sostanza derivata da una banale pianta cinese con molto scetticismo.
Poi le cose sono andate come sappiamo.

Marzio G. Milan
SETTE, 30/10/2015

… E noi ci auguriamo che per la Dottoressa Meschini e la Biogroup le cose vadano allo stesso modo.

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